Quello di Pino Arlacchi GIOVANNI E IO , edito da Chiare Lettere è un libro molto interessante per varie ragioni. Innanzitutto perché racconta molti retroscena inediti del lavoro del pool antimafia voluto da Chinnici che ebbe in Falcone e Borsellino gli interpreti più valorosi. In secondo luogo perché l’autore (che ha svolto un importante ruolo di consulenza del gruppo di magistrati antimafia palermitani) riporta molti virgolettati dei suoi dialoghi durati molti anni con Falcone, nei quali il magistrato palermitano da le sue valutazioni anche inattese su quanto accadeva all’interno dell’universo di cosa nostra ma anche di quella “mafia di stato” (la definizione è di Arlacchi) dove si coagulavano esponenti dell’eversione nera, esponenti dei servizi segreti e degli apparati di polizia al soldo di potenze straniere a cominciare dagli Stati Uniti, della massoneria e di componenti dell’organizzazione Gladio. Questo agglomerato criminale aveva il compito di tenere sotto scacco l’Italia per impedirle una svolta verso il governo delle sinistre. In questo progetto la “mafia di stato” ha collaborato con la “mafia di cosa nostra”. Un esempio fra i tanti il delitto Mattarella, il presidente della Regione Sicilia, fratello dell’attuale Capo dello Stato, ucciso il 6 gennaio del 1980 da un commando che, secondo le convinzioni espresse anche da Giovanni Falcone in molte occasioni giudiziarie e non , era costituito da esponenti dell’eversione nera che avrebbero saldato un’alleanza con la mafia per impedire a Mattarella di proseguire non solo nel suo rapporto con il Pci, ma anche di assumere quel ruolo nazionale, come braccio destro di Aldo Moro, che gli avrebbe dato una ribalta internazionale mal tollerata dalla mafia di stato e dai suoi alleati fuori dall’Italia. Una lettura consigliata per approfondire non solo quanto è accaduto all’inizio degli anni ’80 ma soprattutto le ragioni e le alleanze tossiche che stanno dietro le stragi del ’92 e del ’93 e di molte altre che hanno avvelenato la vita democratica italiana.