Ho appena finito di leggere il libro di Piero Melati “Paolo Borsellino per amore della verità, con le parole di Lucia, Manfredi e Fiammetta Borsellino”, pubblicato da Sperling &Kupfer.
Te lo figuri Piero mentre legge con accanimento libri su libri con il suo volto da intellettuale del ‘900 e tra una sigaretta e l’altra buttare giù appunti e segnare questioni che non gli sono chiare, spiegazioni che non lo convincono sulla lunga storia della Sicilia e della mafia, che pure riempiono ormai milioni di pagine fra atti giudiziari e ricostruzioni.
Siamo colleghi e da parte mia direi anche amici. Abbiamo partecipato insieme a qualche iniziativa. In una di queste, durante la sua direzione della Marina di libri, abbiamo intervistato Fiammetta Borsellino. Voglio immaginare che questo libro sia nato anche da quell’incontro e dalle forti emozioni che la figlia più piccola di Borsellino ha consegnato a noi e al folto pubblico che l’ascoltava. Parlo dell’autore prima che del libro perché questo libro non sarebbe quello che è senza lo sguardo di Piero. Uomo di cultura e di letture raffinate, sempre acuto e difficile da inserire in una categoria tanto è vasto e articolato il ventaglio dei suoi interessi. Sempre alla Marina, ma questa volta quando non era più direttore, ci siamo incrociati alla presentazione di un libro. Mi ha apostrofato bonariamente con un “complottista”, seguito a ruota da altri colleghi più anziani di noi che hanno raccontato la prima guerra di mafia e l’inizio della seconda prima di cedere penna e taccuino alla nostra generazione. Molti di loro sono passati al desk. Noi abbiamo attraversato anni difficili sul campo, frequentando di giorno i magistrati che poi sarebbero stati prima delegittimati e poi massacrati, e incrociando di sera, cercando di mantenerci distanti, la città cinica e anche complice che ha poi infiltrato il fronte della falsa antimafia e le prime file delle manifestazioni ufficiali.
Il libro è un racconto indispensabile per capire di più della figura di Paolo Borsellino. Troppo frettolosamente liquidato in un’associazione Falcone e Borsellino, che annulla le differenze fra due persone che solo nella distinzione possono essere pienamente esaltate nel loro valore e nella loro ricchezza di individui e uomini dello stato.
Nessuno, almeno a mio ricordo, aveva mai scritto con tale ricchezza di particolari (che a tratti tolgono il respiro) l’assedio al quale sono stati sottoposti dopo via d’Amelio i familiari del magistrato, dalla signora Agnese ai figlioli cresciuti sotto una forma di tutela, con uomini dello stato (quale?) prodighi di consigli su cosa dire e fare, con l’incombente presenza di un religioso che occupava ogni spazio in una fase tremenda e dolorosa della vita della famiglia Borsellino. Il racconto dello sforzo titanico per riuscire a liberarsi di questo assedio e riconquistare diritto di parola e domanda di giustizia, non generica come quella proclamata ad ogni anniversario dagli oratori ufficiali, ma facendo nomi e cognomi di chi ha scelto il silenzio e cavalcato l’onda della vaghezza che confina nella complicità, si può affermare che sia il vero cuore del libro di Melati. Ma da cronista anche giudiziario Melati non rinuncia a scavare nelle contraddizioni delle inchieste sull’eccidio del 19 luglio e rilancia la pista di Mafia e appalti, sulla quale il magistrato stava indagando e che considerava centrale nella ricostruzione di quanto stava accadendo e non solo a livello regionale e criminale ma anche politico nel nostro paese. Borsellino indagava anche su altro, aveva raccolto le confidenze di Falcone su Gladio, sugli incroci fra criminalità organizzata e eversione nera (per chi volesse c’è un altro libro da legger Giovanni e Io di Pino Arlacchi, edito da Chiare Lettere che ho già citato nei miei post). Ma questo terreno forse (so che mi sono permettere una battuta con Piero che ha senso dell’ironia!) è più congeniale al “complottista” Cusimano, tanto che l’autore non vi si sofferma. Il fatto è che non c’è la pistola fumante né nell’inchiesta “trattativa” né in quella “mafia & appalti”. Per chi scrive sono facce della stessa medaglia, e nascondono un network politico – criminale, che ha inquinato la vita, para democratica di questo paese fino a insidiarne le fondamenta come ricorda in una delle sue rivelazioni il presidente Ciampi (che giustamente Melati ricorda).
L’altro cuore del libro è nelle pagine finali quelle in cui l’autore lancia il suo atto d’accusa a una comunità(anche giornalistica) che non è riuscita “ a collocare l’argomento mafia nella sua giusta cornice storica… accanto alle vicende delle grandi dittature del Novecento, della guerra civile spagnola e di quelle di ogni tempo, della Resistenza italiana, dei colpi di stato in Grecia o in Cile… “ insomma di darle il rilievo nazionale e internazionale che meritava soprattutto per quanto riguarda la grande reazione dei magistrati del pool e anche di tanti cittadini perbene. La mafia è stata confinata “all’isolamento storico e geografico di un’isola, la Sicilia, che così è potuta essere il giardino degli orrori italiani, come se fosse sempre un mondo a parte, senza che mai la nazione se ne sentisse in alcun modo responsabile”.
Non aggiungo altro (sulla vicenda di Sciascia e dei professionisti dell’antimafia per esempio sulla quale, a mio parere, mai è avvenuto un reale chiarimento basti ricordare le parole intrise di dolore di Borsellino pronunciate a pochi giorni dalla morte) se non la sensazione dello scarto morale esistente fra il percorso dei figli di Borsellino, sempre sobrio, intenso e coraggioso come quello intrapreso senza remore e arretramenti dal loro padre, e la miseria delle istituzioni anche giudiziarie. Un libro che ti fa abbracciare Manfredi, Lucia, Fiammetta. Ti fa sentire dalla loro parte. Ti obbliga nell’intimo del cuore a chiedere loro scusa per non aver contribuito di più, seppure in buona fede e con i limiti della nostra professione, nel mio caso giornalistica, a far fare un passo avanti alla verità che resta ancora celata nei recessi di un potere che non può affrontare la luce. Grazie Piero.