A Torino nel corso della borsa di studio ebbi due straordinarie occasioni. La prima volta all’Aeritalia, industria strategica aerospaziale. In redazione arrivò la notizia che c’era stata una incursione, forse di un gruppo terroristico. Grande mobilitazione di forze dell’ordine. C’era anche una regia mobile Rai. Ci si aspettava un lungo assedio e forse uno scontro a fuoco. Non c’erano colleghi e il caposervizio mi fece uscire con la troupe. Devo dire che gli operatori a quell’epoca a Torino erano già dei giornalisti professionisti anche se l’azienda non li riconosceva come tali.L’Ordine regionale aveva riconosciuto la loro attività come praticantato e li aveva ammessi agli esami. Erano gentilissimi e come dicevo (forse perché ero l’ultimo arrivato, ero giovane, pesavo 145 chili, avevo capelli e barba lunga che facevano di me un personaggio più da romanzo che da tv ) mi avevano preso a benvolere e fin da allora ho imparato a rispettare chi sta in prima linea , telecineoperatori e fotografi, che ,spesso, fanno il lavoro sporco anche per i cronisti. Con loro imparavo a muovermi, anche a tenere la giusta distanza, a rispettare i tempi e “rubavo” quanto potevo dal loro sapere. Alla fine all’Aeritalia c’era stato un falso allarme. Non si seppe mai veramente se terroristi o rapinatori erano riusciti a infiltrarsi in una delle industrie militari fra le più importanti del paese con importanti commesse anche internazionali. Il segreto di stato fu insormontabile. Le ipotesi si sprecarono ma restarono tali. Tuttavia feci il meglio che potevo. Un po’ di dettagli dettati per telefono ai colleghi di line, più d’atmosfera che di sostanza. Ne ricevetti apprezzamenti. Di fronte a tutta confusione e in un terreno per me nuovo non mi ero perso d’animo. E questo era già un risultato. Sentivo di aver conquistato qualche punto in più. I colleghi mi guardavano con attenzione o forse ero io che vedevo crescere la mia autostima. La seconda occasione fu il 31 dicembre. Ero ancora in redazione. Durante le feste si era in pochi e c’era necessità di qualcuno che sbrigasse piccoli ma importanti compiti: assistere i tecnici nel montaggio di brevi sequenze di immagini di copertura per i “vivi”, le notizie lette in studio durante il tg, oppure la raccolta di tempi e ultime parole dei servizi per i registi e la redazione delle “camicie” i fogli con le firme del servizio (redattore, telecineoperatore,montatore, nome della persona intervistata, appunto durata e ultime parole). In redazione, forse da un corrispondente arrivò la notizia che in un paesino sulle colline torinesi ,tra i botti anticipati per la fine dell’anno, c’era stato anche uno sparo. Giorgio Mensi l’operatore venne incaricato di andare e io lo accompagnai. Era una serata fredda. In molti preparavano i festeggiamenti. Ma non vivevo questa situazione come una privazione. Anzi.
Arrivati nel paesino l’arcano fu svelato. Lo sparo c’era stato. Un anziano , un uomo solitario e scontroso, infastidito dal rumoreggiare dei ragazzini che lanciavano petardi nella via e forse davanti alla sua porta di casa, aveva sparato un paio di colpi di fucile. Uno aveva raggiunto un bambino uccidendolo. Il tempo si era come bloccato. Giorgio girò delle immagini . Le inquadrature della palazzina dello sparatore, la stradina, le facce degli altri bimbi che avevano perso il loro compagno di giochi. Poi, non so per quale strano impulso, decidemmo di raggiungere la casa del bambino rimasto ucciso. I due genitori con addosso i segni di una vita di fatiche, erano attoniti. Lo sguardo basso. Le mani giunte in una silenziosa preghiera. Provai a fare qualche domanda. In qualche maniera era come se aspettassero quel momento per liberare tutto il loro dolore. Fu una narrazione piena di rimpianto, di incredulità, di disperazione. Non ricordo se avessero altri figli. Nella casa non c’erano altre persone. Erano stati lasciati soli anche dai compaesani. Forse per pudore.Raggiungemmo rapidamente via Verdi. Federico Scianò, il caporedattore, volle vedere il girato. Anche lui sorpreso che fossimo in possesso di materiale così “forte”, probabilmente all’epoca non consueto per “lo stile” del tg piemontese. Decise, con grande coraggio, di mandare in onda al posto dell’edizione della notte (allora durava una decina di minuti) l’intervista integrale. Era quello che nell’ambiente si definiva uno scoop. Un colpo giornalistico che mi accompagnò per tutta la borsa di studio e che fu un biglietto di presentazione formidabile per le successive tappe del mio stage. Piccola increspatura. Il pezzo non mi venne firmato. I “borsisti” non potevano firmare i loro pezzi. Erano clandestini.
Continua.