Beirut mi ha sorpreso. Negli occhi e nella memoria avevo i ricordi della guerra, dei palazzi ridotti in rovine, degli uomini in armi delle varie fazioni che si aggiravano per le strade deserte, dell’urlo lancinante delle sirene. Quello che ho trovato invece è una città totalmente rinata, con grandi alberghi , arterie di stile occidentale, gente accogliente e gentile, costumi in parte occidentali e in parte tradizionali. Si respira molta libertà, le imprese ne hanno fatto un punto di riferimento per i loro affari.
Il passato non è del tutto cancellato. Ci sono i campi dei profughi a quaranta chilometri dalla città. E in uscita dalla capitale incontri donne e bambini che chiedono l’elemosina ai quali evidentemente è negato il centro per non disturbare l’immagine di una città che cerca il suo riscatto anche internazionale. Alla stessa distanza, ma sulla costa, il paradiso dei turisti. Centinaia di ristoranti si affacciano sul mare. Ogni sera si va in cerca di fresco e di bibite e, per i più fortunati, di ottimi menù di quella che viene definita la cucina francese del Vicino Oriente. Intorno ai tavoli bellissime ragazze si esibiscono in balli orientali, qualcuna azzarda una danza del ventre senza crederci più di tanto. In un tavolo al centro della sala una decina di donne assistono contente. Parlano arabo. Non sono turiste. Non hanno veli, almeno non tutte e fumano il narghilè.